ATENE PNYX

 

Voci alla Pnyx, 21 marzo 2010 

 

Qui, in questo luogo, la democrazia di Atene trovava la sua massima espressione. Qui si riuniva l’ecclesia. L’ecclesia era l’assemblea dei cittadini ateniesi, dei cittadini dell’Attica.

 

La costituzione democratica nacque con le riforme predisposte da Clistene dal 509-507.

Atene era uscita da una tirannide illuminata, quella di Pisistrato, che nel VI secolo (560-527) aveva governato appoggiandosi al demos contro il rischio del ritorno del potere aristocratico. Non erano bastate le riforme di Solone del 594 che aveva associato al potere aristocratico anche gli strati della borghesia ricca di Atene, dividendo il demos secondo il reddito in cinque fasce, per dare stabilità istituzionale ad Atene. Non erano bastate perché l’aristocrazia continuava ad insidiare le istituzioni ed il demos voleva una sua partecipazione politica più larga ed effettiva. La città cresceva in ricchezza in questa età arcaica cosi velocemente che nulla poteva restare fisso e governato secondo i canoni della tradizione, come avrebbero voluto gli aristocratici, contemplando cioè primariamente i loro interessi ed i loro privilegi. Il pugno di ferro di Pisistrato diede ad Atene stabilità e prosperità, oltre che una politica di edilizia pubblica religiosa ed un programma culturale di tutto rilievo. Scomparso Pisistrato, tornarono i conflitti. Atene ne uscìi con la costituzione di Clistene, prima che spirasse il secolo, nel 507.

Fu l’Atene democratica che affrontò le due invasioni persiane del 490 e del 480. La vittoria la rafforzò, al punto da diventare un modello che gli Ateniesi vollero esportare in tutte le poleis che essa legò a sé nella lega politico-militare di Delos, in funzione antipersiana.

 

I cittadini maschi dell’Attica formavano l’Ecclesia, divisi in 10 filai (o tribù), ciascuna divisa in 3 fasce (montagna, pianura, costa), qui si riunivano, qui decidevano. Decidevano quali 50 delegati, per ogni file, dovessero andare a formare la boulè, o parlamento dei 500, che si riuniva laggiù, nella sua sede appena sotto il Tempio di Efesto o Theseion. Lo facevano ogni 36 giorni o decima parte dell’anno. Con questo avvicendamento si garantiva una perfetta isonomia, o parità, fra i cittadini nella formazione del parlamento ateniese. La boulè esprimeva quindi il la pritania, perché presiedesse le assemblee, e gli strateghi per l’esercito, anch’esso diviso in 10 unità. Il governo era nelle mani della boulè, e gli arconti avevano il compito di mettere in esecuzione le decisioni del Consiglio in campo militare, finanziario e giudiziario e religioso.

 

Da qui, da questo luogo dove noi siamo, gli ateniesi videro rinascere l’Acropoli nel V secolo, dopo la distruzione dei persiani di Serse, e il suo Partenone, per volontà di Pericle.

Qui, in questo luogo, i grandi uomini di Atene, Temistocle, Cimone, Pericle cercarono il consenso politico e fecero grande Atene. Ma Atene, questa Atene che all’Occidente diede il suo Logos, questa suprema bellezza del mondo antico fu travolta dalla Storia. Quando lo scudo dell’Impero romano si sbrecciò, Atene decadde, e perfino secoli dopo la fine di Roma venne incendiata e devastata dai saraceni, appena dopo il 1000. Nel 1687 l’Acropoli fu contesa a colpi di cannone tra Veneziani e Turchi.

Alla fine del 1700 qui intorno, dove ora si stende sterminata la città, pascolavano le capre e le pecore, e solo il Partenone e qualche rovina qua e là ricordavano che c’era stata una grande città.

Consapevoli di questa desolazione, gli europei usciti dal Medioevo tornarono a rivolgersi all’Ellade con nostalgia crescente. Fu il ritorno dell’umanesimo.

 

Ora immaginiamo di immergerci nella storia, di trasferirci per un poco nell’Atene del V secolo. E’ il momento di Pericle, egli vive sua fortuna politica. Il partito democratico radicale, la sinistra, ha acquisito il potere ormai da più di dieci anni, e Pericle dopo la morte del primo leader Efialte, sta guidando la città verso una politica estera coi Persiani e con gli Spartani sempre più prudente, fino a raggiungere un proficuo equilibrio di pace. Atene ormai guida la lega di Delos ed il suo Impero del mare con sicurezza e grande profitto.

Si prepara a convogliare le energie della polis, spese per tanti anni in conflitti lontani per l’affermazione dell’impero, verso un’altra non meno grande ambizione: fare di Atene la Scuola dell’Ellade..

 

Ascoltate con quale sicurezza ed enfasi Pericle presenta Atene agli stessi Ateniesi, perché ne siano orgogliosi, e perché l’orgoglio si trasformi in volontà ed in impresa politica. Quando fu pronunciato questo discorso che ci fu tramandato sull’Acropoli che là vedete c’erano ancora le rovine della devastazione persiana del 490. Siamo nel 451, e fra pochi anni sarebbero iniziati i lavori per la ricostruzione dell’Acropoli, cuore del programma da lui stesso definito Scuola dell’Ellade. Queste le sue parole.



Discorso di Pericle del 451


Qui ad Atene noi facciamo così.


Qui il nostro governo favorisce i molti invece dei pochi

e per questo viene chiamato democrazia.


Qui ad Atene noi facciamo così.


Le leggi qui assicurano una giustizia eguale per tutti nelle loro dispute private, ma noi non ignoriamo mai i meriti dell’eccellenza;

quando un cittadino si distingue allora esso sarà, a preferenza di altri, chiamato a servire lo stato, ma non come atto di privilegio, bensì, come una ricompensa al merito, e la povertà non costituisce un impedimento.

Qui ad Atene noi facciamo così.


La libertà di cui godiamo si estende anche alla vita quotidiana

noi non siamo sospettosi uno dell’ altro e non infastidiamo mai il nostro prossimo, se al nostro prossimo piace vivere a modo suo

noi siamo liberi!

liberi di vivere proprio come ci piace

e tuttavia siamo sempre pronti a fronteggiare qualsiasi pericolo

Un cittadino ateniese non trascura i pubblici affari quando attende alle proprie faccende private. Ma in nessun caso si occupa delle pubbliche faccende per risolvere le sue questioni private.

Qui ad Atene noi facciamo così.


Ci è stato insegnato a rispettare i magistrati e c’è stato insegnato anche di rispettare le leggi,

e di non dimenticare mai coloro che ricevono offesa

e ci è stato anche insegnato di rispettare quelle leggi non scritte

che risiedono nell’universale sentimento di ciò che è giusto e di buon senso.


Qui ad Atene noi facciamo così.


Un uomo che non si interessa allo stato noi non lo consideriamo innocuo, ma inutile

e benché in pochi siano in grado di dar vita a una politica, beh, tutti qui ad Atene siamo in grado di giudicarla noi non consideriamo la discussione un ostacolo, sulla via della democrazia noi crediamo che la felicità sia il frutto della libertà ma la libertà sia solo il frutto del valore

insomma 

io proclamo Atene Scuola dell’ Ellade


e che ogni ateniese cresca prosperando in se una felice versatilità la fiducia in se stesso

e la prontezza ad affrontare qualsiasi situazione

ed è per questo che la nostra città è aperta ed è per questo che noi non cacciamo mai uno straniero.




 

Ma la democrazia, come tutte le cose belle, ha una sua fragilità. Perché essa non degeneri, lo spirito del cittadino deve essere sempre presente, vivo, motivato verso l’interesse collettivo. Essa offre grandi possibilità, al punto che può accadere a molti di scambiare la libertà che le è intrinseca come mezzo del vantaggio privato dell’egoismo meschino, e dell’arbitrio. Quando fu cresciuta la generazione dei nuovi Ateniesi, i figli della generazione di Pericle, allevati nella pace ed in una relativa ricchezza, Atene conobbe una profonda crisi della sua identità politica. Pericle, alla fine degli anni 30, ormai politicamente invecchiato, conobbe l’amarezza delle accuse politiche, rivolte a lui, ai suoi amici, alla sua donna, per liquidarlo politicamente.

La Scuola dell’Ellade era diventata ormai un’ambizione troppo alta per i nuovi ateniesi.

 

Lo storico Schechermeyer che studiò approfonditamente la figura di Pericle scrive così di questi anni difficili, che furono fine degli anni 30:

“I nuovi cittadini, ora finalmente liberi da ogni vero vincolo elitario e consci del loro diritto alla mediocrità, non volevano più al vertice della polis un uomo che come Pericle stesse al di sopra di essa per cultura, nobilita e spirito. Volevano un perso­naggio di prestigio, ma del loro stesso livello, uno di loro, senza cultura e senza una raffinata sensibilità artistica, in una parola: un piccolo-borghese di rilievo. E una persona simile si offriva nella figura del proprietario di concerie e commerciante in cuoio Cleone.

Pochi anni prima Sofocle nella sua Antigone aveva raffigurato il re di Tebe Creonte come un mediocre che, appena arrivato al potere, si dava grandi arie, pur rimanendo un vuoto borioso, un ottuso cultore di saggezze dozzinali, privo di ogni idea sulla vera essenza dello stato e sulla autentica religiosità, pronto però a considerarsi il prescelto difensore del diritto, della legge e di ogni ordine divino: in sostanza un povero vigliacco, pieno di diffidenza e di segreti timori”.

 

Furono questi uomini a minare il prestigio di Pericle, a ostacolare la sua guida.

Quale fu la reazione di Pericle? Dice ancora Schechermeyer:

 

“Con le guerre persiane Atene visse la sua prima età eroica. Su proposta di Milziade si diede battaglia a Maratona, e dieci anni più tardi il popolo dietro istigazione di Temistocle sgombrò l'in­tera Attica per affidare la sorte decisiva alla flotta. Come ricom­pensa, agli Ateniesi toccò la supremazia sul mare e la guida della lega attica.

La seconda ondata di eroismo venne provocata trent'anni dopo da Efialte, Mironide e dallo stesso Pericle. La vissero di persona le generazioni di mezzo nella guerra sui due fronti, contro Sparta e contro la Persia. Anche allora si scese a battaglia a Tanagra, si profilò l'invasione dei nemici peloponnesiaci e si poté evitare la devastazione del­l'Attica soltanto per l'abilità diplomatica di Pericle.

Pericle dovette infine concludere che in ambedue i casi le dif­ficoltà e la guerra erano state le migliori guide degli Ate­niesi, risvegliando in loro le forze più sane e innalzando i citta­dini a un'esistenza elitaria”.

 

Così Pericle ancora un volta qui, in questo posto, parlò agli Ateniesi e li convinse alla guerra con Sparta, commettendo lui così saggio un tragico errore. Probabilmente pensava di essere lui a guidarla e di poterla fermare al momento giusto. Ma non fu così. Nel 430, a guerra appena iniziata, la peste devastò Atene, Pericle ne fu colpito e morì.

La guerra del Peloponeso fu lunga e tragica, travolse Atene, finì con la sua sconfitta nel 404, e la caduta della democrazia.

Tornò la democrazia, ma fu diversa e fu la stessa che condannò a morte Socrate.

Il sogno della polis democratica perfetta era stato vissuto per alcuni anni.

Ora bisogna attendere secoli perché tornasse quel sogno a guidare i popoli dell’Europa

 

 

Voci alla Pnyx, 21 marzo 2010 

 

Qui, in questo luogo, la democrazia di Atene trovava la sua massima espressione. Qui si riuniva l’ecclesia. L’ecclesia era l’assemblea dei cittadini ateniesi, dei cittadini dell’Attica.

 

La costituzione democratica nacque con le riforme predisposte da Clistene dal 509-507.

Atene era uscita da una tirannide illuminata, quella di Pisistrato, che nel VI secolo (560-527) aveva governato appoggiandosi al demos contro il rischio del ritorno del potere aristocratico. Non erano bastate le riforme di Solone del 594 che aveva associato al potere aristocratico anche gli strati della borghesia ricca di Atene, dividendo il demos secondo il reddito in cinque fasce, per dare stabilità istituzionale ad Atene. Non erano bastate perché l’aristocrazia continuava ad insidiare le istituzioni ed il demos voleva una sua partecipazione politica più larga ed effettiva. La città cresceva in ricchezza in questa età arcaica cosi velocemente che nulla poteva restare fisso e governato secondo i canoni della tradizione, come avrebbero voluto gli aristocratici, contemplando cioè primariamente i loro interessi ed i loro privilegi. Il pugno di ferro di Pisistrato diede ad Atene stabilità e prosperità, oltre che una politica di edilizia pubblica religiosa ed un programma culturale di tutto rilievo. Scomparso Pisistrato, tornarono i conflitti. Atene ne uscìi con la costituzione di Clistene, prima che spirasse il secolo, nel 507.

Fu l’Atene democratica che affrontò le due invasioni persiane del 490 e del 480. La vittoria la rafforzò, al punto da diventare un modello che gli Ateniesi vollero esportare in tutte le poleis che essa legò a sé nella lega politico-militare di Delos, in funzione antipersiana.

 

I cittadini maschi dell’Attica formavano l’Ecclesia, divisi in 10 filai (o tribù), ciascuna divisa in 3 fasce (montagna, pianura, costa), qui si riunivano, qui decidevano. Decidevano quali 50 delegati, per ogni file, dovessero andare a formare la boulè, o parlamento dei 500, che si riuniva laggiù, nella sua sede appena sotto il Tempio di Efesto o Theseion. Lo facevano ogni 36 giorni o decima parte dell’anno. Con questo avvicendamento si garantiva una perfetta isonomia, o parità, fra i cittadini nella formazione del parlamento ateniese. La boulè esprimeva quindi il la pritania, perché presiedesse le assemblee, e gli strateghi per l’esercito, anch’esso diviso in 10 unità. Il governo era nelle mani della boulè, e gli arconti avevano il compito di mettere in esecuzione le decisioni del Consiglio in campo militare, finanziario e giudiziario e religioso.

 

Da qui, da questo luogo dove noi siamo, gli ateniesi videro rinascere l’Acropoli nel V secolo, dopo la distruzione dei persiani di Serse, e il suo Partenone, per volontà di Pericle.

Qui, in questo luogo, i grandi uomini di Atene, Temistocle, Cimone, Pericle cercarono il consenso politico e fecero grande Atene. Ma Atene, questa Atene che all’Occidente diede il suo Logos, questa suprema bellezza del mondo antico fu travolta dalla Storia. Quando lo scudo dell’Impero romano si sbrecciò, Atene decadde, e perfino secoli dopo la fine di Roma venne incendiata e devastata dai saraceni, appena dopo il 1000. Nel 1687 l’Acropoli fu contesa a colpi di cannone tra Veneziani e Turchi.

Alla fine del 1700 qui intorno, dove ora si stende sterminata la città, pascolavano le capre e le pecore, e solo il Partenone e qualche rovina qua e là ricordavano che c’era stata una grande città.

Consapevoli di questa desolazione, gli europei usciti dal Medioevo tornarono a rivolgersi all’Ellade con nostalgia crescente. Fu il ritorno dell’umanesimo.

 

Ora immaginiamo di immergerci nella storia, di trasferirci per un poco nell’Atene del V secolo. E’ il momento di Pericle, egli vive sua fortuna politica. Il partito democratico radicale, la sinistra, ha acquisito il potere ormai da più di dieci anni, e Pericle dopo la morte del primo leader Efialte, sta guidando la città verso una politica estera coi Persiani e con gli Spartani sempre più prudente, fino a raggiungere un proficuo equilibrio di pace. Atene ormai guida la lega di Delos ed il suo Impero del mare con sicurezza e grande profitto.

Si prepara a convogliare le energie della polis, spese per tanti anni in conflitti lontani per l’affermazione dell’impero, verso un’altra non meno grande ambizione: fare di Atene la Scuola dell’Ellade..

 

Ascoltate con quale sicurezza ed enfasi Pericle presenta Atene agli stessi Ateniesi, perché ne siano orgogliosi, e perché l’orgoglio si trasformi in volontà ed in impresa politica. Quando fu pronunciato questo discorso che ci fu tramandato sull’Acropoli che là vedete c’erano ancora le rovine della devastazione persiana del 490. Siamo nel 451, e fra pochi anni sarebbero iniziati i lavori per la ricostruzione dell’Acropoli, cuore del programma da lui stesso definito Scuola dell’Ellade. Queste le sue parole.

Discorso di Pericle del 451

Qui ad Atene noi facciamo così.

Qui il nostro governo favorisce i molti invece dei pochi

e per questo viene chiamato democrazia.

Qui ad Atene noi facciamo così.

Le leggi qui assicurano una giustizia eguale per tutti nelle loro dispute private, ma noi non ignoriamo mai i meriti dell’eccellenza;

quando un cittadino si distingue allora esso sarà, a preferenza di altri, chiamato a servire lo stato, ma non come atto di privilegio, bensì, come una ricompensa al merito, e la povertà non costituisce un impedimento.

Qui ad Atene noi facciamo così.

La libertà di cui godiamo si estende anche alla vita quotidiana

noi non siamo sospettosi uno dell’ altro e non infastidiamo mai il nostro prossimo, se al nostro prossimo piace vivere a modo suo

noi siamo liberi!

liberi di vivere proprio come ci piace

e tuttavia siamo sempre pronti a fronteggiare qualsiasi pericolo

Un cittadino ateniese non trascura i pubblici affari quando attende alle proprie faccende private. Ma in nessun caso si occupa delle pubbliche faccende per risolvere le sue questioni private.

Qui ad Atene noi facciamo così.

Ci è stato insegnato a rispettare i magistrati e c’è stato insegnato anche di rispettare le leggi,

e di non dimenticare mai coloro che ricevono offesa

e ci è stato anche insegnato di rispettare quelle leggi non scritte

che risiedono nell’universale sentimento di ciò che è giusto e di buon senso.

Qui ad Atene noi facciamo così.

Un uomo che non si interessa allo stato noi non lo consideriamo innocuo, ma inutile

e benché in pochi siano in grado di dar vita a una politica, beh, tutti qui ad Atene siamo in grado di giudicarla noi non consideriamo la discussione un ostacolo, sulla via della democrazia noi crediamo che la felicità sia il frutto della libertà ma la libertà sia solo il frutto del valore

insomma

io proclamo Atene Scuola dell’ Ellade

e che ogni ateniese cresca prosperando in se una felice versatilità la fiducia in se stesso

e la prontezza ad affrontare qualsiasi situazione

ed è per questo che la nostra città è aperta ed è per questo che noi non cacciamo mai uno straniero.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ma la democrazia, come tutte le cose belle, ha una sua fragilità. Perché essa non degeneri, lo spirito del cittadino deve essere sempre presente, vivo, motivato verso l’interesse collettivo. Essa offre grandi possibilità, al punto che può accadere a molti di scambiare la liberta che le è intrinseca come mezzo del vantaggio privato dell’egoismo meschino, e dell’arbitrio. Quando fu cresciuta la generazione dei nuovi Ateniesi, i figli della generazione di Pericle, allevati nella pace ed in una relativa ricchezza, Atene conobbe una profonda crisi della sua identità politica. Pericle, alla fine degli anni 30, ormai politicamente invecchiato, conobbe l’amarezza delle accuse politiche, rivolte a lui, ai suoi amici, alla sua donna, per liquidarlo politicamente.

La Scuola dell’Ellade era diventata ormai un’ambizione troppo alta per i nuovi ateniesi.

 

Lo storico Schechermeyer che studiò approfonditamente la figura di Pericle scrive così di questi anni difficili, che furono fine degli anni 30:

“I nuovi cittadini, ora finalmente liberi da ogni vero vincolo elitario e consci del loro diritto alla mediocrità, non volevano più al vertice della polis un uomo che come Pericle stesse al di sopra di essa per cultura, nobilita e spirito. Volevano un perso­naggio di prestigio, ma del loro stesso livello, uno di loro, senza cultura e senza una raffinata sensibilità artistica, in una parola: un piccolo-borghese di rilievo. E una persona simile si offriva nella figura del proprietario di concerie e commerciante in cuoio Cleone.

Pochi anni prima Sofocle nella sua Antigone aveva raffigurato il re di Tebe Creonte come un mediocre che, appena arrivato al potere, si dava grandi arie, pur rimanendo un vuoto borioso, un ottuso cultore di saggezze dozzinali, privo di ogni idea sulla vera essenza dello stato e sulla autentica religiosità, pronto però a considerarsi il prescelto difensore del diritto, della legge e di ogni ordine divino: in sostanza un povero vigliacco, pieno di diffidenza e di segreti timori”.

 

Furono questi uomini a minare il prestigio di Pericle, a ostacolare la sua guida.

Quale fu la reazione di Pericle? Dice ancora Schechermeyer:

 

“Con le guerre persiane Atene visse la sua prima età eroica. Su proposta di Milziade si diede battaglia a Maratona, e dieci anni più tardi il popolo dietro istigazione di Temistocle sgombrò l'in­tera Attica per affidare la sorte decisiva alla flotta. Come ricom­pensa, agli Ateniesi toccò la supremazia sul mare e la guida della lega attica.

La seconda ondata di eroismo venne provocata trent'anni dopo da Efialte, Mironide e dallo stesso Pericle. La vissero di persona le generazioni di mezzo nella guerra sui due fronti, contro Sparta e contro la Persia. Anche allora si scese a battaglia a Tanagra, si profilò l'invasione dei nemici peloponnesiaci e si poté evitare la devastazione del­l'Attica soltanto per l'abilità diplomatica di Pericle.

Pericle dovette infine concludere che in ambedue i casi le dif­ficoltà e la guerra erano state le migliori guide degli Ate­niesi, risvegliando in loro le forze più sane e innalzando i citta­dini a un'esistenza elitaria”.

 

Così Pericle ancora un volta qui, in questo posto, parlò agli Ateniesi e li convinse alla guerra con Sparta, commettendo lui così saggio un tragico errore. Probabilmente pensava di essere lui a guidarla e di poterla fermare al momento giusto. Ma non fu così. Nel 430, a guerra appena iniziata, la peste devastò Atene, Pericle ne fu colpito e morì.

La guerra del Peloponeso fu lunga e tragica, travolse Atene, finì con la sua sconfitta nel 404, e la caduta della democrazia.

Tornò la democrazia, ma fu diversa e fu la stessa che condannò a morte Socrate.

Il sogno della polis democratica perfetta era stato vissuto per alcuni anni.

Ora bisogna attendere secoli perché tornasse quel sogno a guidare i popoli dell’Europa