L' ARGOLIDE DI MICENE

MICENE, NIDO D'AQUILE

Micene è situata nella regione detta Argolide, culla di molti dei più importanti miti greci. E’ in questa regione che sono situate le città di Tirinto, Argo ed Epidauro, nel tratto di passaggio dal Peloponneso alla Grecia continentale attraverso l’istmo di Corinto.

L’Argolide fu abitata da popolazioni greche nell’Elladico Medio. Le prime tribù greche scese dal nord erano state quelle degli Ioni e degli Eoli. Pare che gli Achei fossero un ramo degli Eoli, linguisticamente molto affini.   Ma fu verso il 1500 che si definì la supremazia di Micene, che restò il centro più importante della Grecia fino al 1100, quando venne travolta dalle invasioni doriche. Per questo si parla di civiltà micenea, aperta ai contatti esterni, al commercio, produttrice di raffinati manufatti artigianali. 

Micene presenta ancora oggi l’aspetto antico di un nido d’aquile, con la sua rocca che sovrasta la pianura argiva, dalla quale partivano le incursioni dell’aristocrazia guerriera bramosa di bottino di uomini, donne, greggi ed oro. Quegli uomini che, al loro ritorno, dopo essersi spartite le prede secondo i diritti della gerarchia aristocratica e del valore dimostrato in guerra, amavano allietare le loro serate nel megaron del palazzo attescoltando gli aedi cantare le loro stesse gesta.Dopo l’arrivo dei Dori, tornarono a prevalere agricoltura e pastorizia e, fra 1100 e l’età arcaica, divenne Argo il centro principale dell’Argolide.Argo e gli Argivi furono tradizionali avversari degli Spartani e quindi si schierarono con Atene durante la guerra del Peloponneso.I leoni di Micene, le maschere d’oro dei suoi re e le loro tombe, le possenti mura non sembrerebbero appartenere alla civiltà del Logos, che si esprime nella razionale geometria dei templi e nella progressiva liberazione delle forme dell’uomo-dio. Quella che conosciamo dall’età geometrica in poi. Eppure è fra queste mura e dentro questi palazzi che sono nate non solo le imprese, ma le leggende che le hanno seguite e che hanno trovato sintesi nel canto di Omero, diventando il patrimonio mitologico e leggendario comune dei Greci delle età del Logos, e massima espressione del genio greco nelle tragedie di Eschilo, Sofocle e Euripide, suprema sintesi di apollineo e dionisiaco. Gli eroi omerici si scaldavano al fuoco dei megaron dei palazzi micenei, dentro mura ciclopiche sorvegliate dai leoni.   ©professor Adriano Ceschia

Le leggende acheo-micenee hanno nutrito i poemi che sono all’origine della poesia e letteratura occidentale ed hanno dato la materia prima a molta della drammaturgia tragica del V secolo. In quelle leggende il destino deciso dagli dei resta imprescindibile, sovrasta gli atti degli uomini, li premia o li travolge, ma non c’è momento in cui essi rinuncino a lottare per sé, per darsi il proprio spazio divino, la gloria ed il compiacimento di momenti umani e solo umani. Achille sa che dovrà morire, ma non rinuncia a vendicare l’amico Patroclo; Ulisse sa che molti dei gli sono avversi, ma insiste caparbiamente a cercare la via del ritorno a Itaca, perché è nella sua casa che può esternare i suoi affetti di padre e di marito; Clitennestra attende per dieci lunghi anni Agamennone per scannarlo in questo palazzo punendolo per averle sacrificato la figlia Ifigenia ed essersi portato dietro la concubina troiana Cassandra; Elettra attende paziente e inesorabile che cresca il fratello Oreste per indurlo a vendicare il padre Agammenone uccidendo la madre.

Il mito che gira intorno a Micene si intreccia con la storia, che oggi ammette una spedizione a Troia quasi sicuramente guidata dal sovrano di Micene, essendo questo il centro più importante del sistema di principati achei. La narrazione delle vicende della guerra di Troia ha origini probabilmente argive ed ha formato il nucleo dei poemi omerici che sono diventati il riferimento della civiltà letteraria e culturale greca.

Il tedesco Schliemann, convinto che Omero avesse ragione e che i suoi poemi parlassero di eventi storici, andò alla ricerca di Troia, che trovò e portò alla luce, e quindi venne nella zona di Micene, dove portò alla luce la Porta dei Leoni, il Tesoro di Atreo e le tombe reali del Circolo A nel 1876, dentro la rocca.


©professor Adriano Ceschia

 

Tomba di Atreo
Tomba di Atreo
Ricostruzione rielaborata da Dal Bo' Silvia
Ricostruzione rielaborata da Dal Bo' Silvia

Fu verso il 1500 che si definì la supremazia di Micene, che restò il centro più importante della Grecia acheo-micenea fino al 1100, quando venne travolta dalle invasioni doriche..

 

Micene presenta ancora oggi l’aspetto antico di un nido d’aquile, con la sua rocca che sovrasta la pianura argiva, dalla quale partivano le incursioni dell’aristocrazia guerriera bramosa di bottino di uomini, donne, greggi ed oro. Quegli uomini che, al loro ritorno, dopo essersi spartite le prede secondo i diritti della gerarchia aristocratica e del valore dimostrato in guerra, amavano allietare le loro serate nel megaron del palazzo ascoltando gli aedi cantare le loro stesse gesta.

Dopo l’arrivo dei Dori, tornarono a prevalere agricoltura e pastorizia e, fra 1100 e l’età arcaica, divenne Argo il centro principale dell’Argolide.

I leoni di Micene, le maschere d’oro dei suoi re e le loro tombe, le possenti mura non sembrerebbero appartenere alla civiltà del Logos, che si esprime nella razionale geometria dei templi e nella progressiva liberazione delle forme dell’uomo-dio. Quella che conosciamo dall’età geometrica in poi. Eppure è fra queste mura e dentro questi palazzi che sono nate non solo le imprese, ma le leggende che le hanno seguite e che hanno trovato sintesi nel canto di Omero, diventando il patrimonio mitologico e leggendario comune dei Greci delle età del Logos, e massima espressione del genio greco nelle tragedie di Eschilo, Sofocle e Euripide, suprema sintesi di apollineo e dionisiaco. Gli eroi omerici si scaldavano al fuoco dei megaron dei palazzi micenei, dentro mura ciclopiche sorvegliate dai leoni.   ( @ Adriano Ceschia)

 

 


Le leggende acheo-micenee hanno nutrito i poemi che sono all’origine della poesia e letteratura occidentale ed hanno dato la materia prima a molta della drammaturgia tragica del V secolo. In quelle leggende il destino deciso dagli dei resta imprescindibile, sovrasta gli atti degli uomini, li premia o li travolge, ma non c’è momento in cui essi rinuncino a lottare per sé, per darsi il proprio spazio divino, la gloria ed il compiacimento di momenti umani e solo umani. Achille sa che dovrà morire, ma non rinuncia a vendicare l’amico Patroclo; Ulisse sa che molti dei gli sono avversi, ma insiste caparbiamente a cercare la via del ritorno a Itaca, perché è nella sua casa che può esternare i suoi affetti di padre e di marito; Clitennestra attende per dieci lunghi anni Agamennone per scannarlo in questo palazzo punendolo per averle sacrificato la figlia Ifigenia ed essersi portato dietro la concubina troiana Cassandra; Elettra attende paziente e inesorabile che cresca il fratello Oreste per indurlo a vendicare il padre Agammenone uccidendo la madre.

Il tedesco Schliemann, convinto che Omero avesse ragione e che i suoi poemi parlassero di eventi storici, andò alla ricerca di Troia, che trovò e portò alla luce, e quindi venne nella zona di Micene, dove portò alla luce la Porta dei Leoni, il Tesoro di Atreo e le tombe reali del Circolo A nel 1876, dentro la rocca.


Le imprese degli eroi leggendari micenei sono delle sfide alla quiete olimpica: è come se fossero gli uomini a scompigliare la vita degli dei, con la loro inquietudine, che travolge a volta frontiere, a volte città, a volte i sacri vincoli del sangue come nel cupo ciclo delle morti degli Atridi. E’ su queste sfide, che si collocano tra il tempo della storia e quello degli dei, e su queste imprese, tanto terribili quanto umane, che si alzerà il Logos greco per comprenderle e dominarle, rappresentandole nei poemi, sui frontoni dei templi, nei teatri.


Micene fu la più importante e potente città del sistema di regni autonomi e guerrieri del periodo acheo. Questo spiega perché secondo Omero fu Agamennone, re di Micene, a guidare i re greci alla guerra di Troia.

La civiltà acheo-micenea fu travolta poco dopo l’impresa di Troia, avvenuta intorno al 1180, da nuove migrazioni greche, venute dal nord: i Dori. Così cominciò il lungo periodo del Medioevo ellenico, che durò fino alla fine dell’800, in cui prevalse una economia agricola con una aristocrazia rurale.


Questa assimilò le leggende delle imprese achee, le mitizzò e le consegnò al canto di Omero nell’800 o 700. Quello fu il primo canto dell’Occidente che rimase consegnato alla nostra civiltà per sempre.  ( @ Adriano Ceschia)


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Silenzio, il fragore della Storia scompare davanti a queste tombe. Le grida di dolore di questo Palazzo sono diventate il silenzio di questi sassi e di queste brecce di mura. Anche i Leoni della Porta custodiscono il silenzio delle tragedie micenee dal 3000 anni. Ascoltarono i Greci il canto di Omero, lo ascoltano ancora. Lo ascoltiamo noi, ora, raccogliendo la sua voce dall’eco di questa pianura di Argo segnata da queste montagne.



Così Omero cantava di Agamennone guerriero sul campo di battaglia di Troia:


<< Come fuoco crudele si abbatte sulla foresta

e da ogni parte lo spinge il vento che turbina, i tronchi

piombano giù divelti dall’assalto del fuoco;

appunto così sotto l’Atride Agamennone cadevano le teste

di Troiani fuggenti, e molti cavalli larga cervice

sbattevano i carri vuoti pel campo di lotta

piangendo nobili aurighi: quelli in terra

giacevano molto più cari ai falchi ormai che alle spose


.... l’Atride inseguiva sempre, gridando,

sporco di fango sanguigno le mani imbattibili...>>





Ma il re guerriero, comandante di tutti gli Achei, tornò a Micene dopo dieci anni di guerra e quel giorno stesso fu abbattuto da Egisto e dalla moglie Clitennestra, cui Eschilo fa dire queste parole:



<<Per nostra mano cadde e morì,

e noi lo seppelliremo

senza i pianti di casa sua.


Ma Ifigenia amorosamente,

la figlia al padre, com’è suo dovere,

muoverà incontro

sul guado del rapido fiume dei dolori,

e gettandogli al collo le braccia, lo bacerà.>>



Nei cuori degli uomini oggi come allora albergano le stesse ambizioni, gli stessi odii, e quindi si compiono gli stessi delitti. La passione irrazionale è sempre pronta a travolgerci, ed è per questo che le istituzioni politiche prevedono la legge e la pena per aiutarci con la paura di essa a non violare le regole. Gli eroi del mito avevano la legge degli dei che li guidava, mentre gli ateniesi del V secolo dovevano rafforzare l’adesione alla legge della città, al nomos democratico, con la coscienza civica, con l’educazione, con la conoscenza e la coscienza della complessità del diritto. Proprio come dobbiamo fare noi. La grande tragedia svolse questa funzione, così che i delitti di Micene antica, rivisitati dalla letteratura tragica, divennero materia di riflessione e terapia collettiva dei cittadini di Atene, all’insegna di Dioniso, e secondo la misura di Apollo. ( @ Adriano Ceschia) 




E a te, che sei venuto da lontano e che ora conosci questa storia e questi luoghi, dai sassi di questo palazzo insanguinato, il re di Micene e dell’ Argolide, il generale di tutti gli Achei, il vincitore di Troia, il divino Agamennone rivolge queste parole...




Tu che cumò tu lassis Micene,

no stâ a dismenteâ il gno

berli di vuere, la mê dolce

Ifigjenie, la asse

di Clitenestre, e chê

di Eletre,

la spade matricide di Oreste

cence pâs.

Il sanc al à un presi che

si lu à paiât.

Torne in pâs te tô cjase.

Se alc tu mi devis, ti domandi … cjante par me

Cul Poete

lis mês gjestis a Troie e

chest dolôr che mi faserin eterni.




Tu che ora lasci Micene,

non dimenticare il mio

grido di guerriero, la mia dolce

Ifigenia, l’odio

di Clitennestra, e quello

di Elettra,

la spada matricida di Oreste

senza pace.

Il sangue ha un prezzo che

è stato pagato.

Torna in pace alla tua casa .

Se mi devi qualcosa, ti chiedo …

canta per me

col Poeta

le mie gesta a Troia e

questo dolore che mi fecero eterno.


 @ Adriano Ceschia)