Voci a Capo Sounion di  A.Ceschia  



Apollo, Dioniso e la tragedia attica

 

L’Attica protende qui la sua terra verso l’Egeo dalla molte isole. Il mare di Atene. L’impero di Atene.

Pericle volle ...il tempio a Poseidone per propiziare per la sua città la benevolenza del Dio, perché le tempeste non fermassero i suoi commerci e le acque del mare non fossero la via che trasporta i nemici invasori. Perché proteggesse benevolo la flotta della Lega che vigilava, affinché il Persiano non fosse tentato ancora di invadere la Grecia.

 

E’ una cornice di olimpica bellezza, tanto bella da lasciarci sospesi tra la calma estatica del sogno e l’ebbrezza dell’esaltazione che spinge a gridare, tra l’Apollo e il Dioniso che sono in noi.

Noi leggeremo ora alcuni passi di La nascita della tragedia greca di Friederich Nietzsce per rinnovare la nostra comprensione dell’anima ellenica in questo contesto di armonia assoluta. Ma si fa sera, e allora leggiamo anche un breve celebre passo di Omero e uno del poeta lirico spartano Alcmane, i primi notturni della letteratura d’Occidente, che ci introducono nel sogno che ristora, e ci fanno capire da quale sensibilità poteva nascere la disposizione ellenica a sognare gli dei, dopo aver vissuto la frenesia dionisiaca.

 

Da Omero: “Come quando nel cielo, intorno alla fulgida luna / appaiono lucenti le stelle, quando l’etere è senza vento / e appaiono tutte le balze e le cime dei colli / e le valli, e dal cielo si stende infinito l’etere / e brillano tutte le stelle e s’allegra nel cuore il pastore”

 

E da Alcmane: “Dormono le cime dei monti e le gole, /i picchi e i dirupi, /e le famiglie di animali, / quanti nutre la nera terra, /e le fiere abitatrici dei monti e la stirpe delle api /e i mostri negli abissi del mare purpureo; / dormono le schiere degli uccelli dalle larghe ali.

 

Ed ora facciamo parlare Nietzsche.

I Greci [...]hanno stabilito come duplice fonte della loro arte due divinità, Apollo e Dioniso. Questi nomi [...] incedono l'uno accanto all'altro quasi sempre in lotta tra loro, e appaiono fusi una volta soltanto [...] nell'opera d'arte della tragedia attica. In due stati, difatti, l'uomo raggiunge il sentimento estatico dell'esistenza, nel sogno e nell'ebbrezza. La bella illusione del mondo del sogno è madre di ogni arte figurativa e di una metà importante della poesia. [...]Non sono tuttavia soltanto le immagini piacevoli e benigne a essere da noi ricercate in noi stessi: anche ciò che è serio, triste, torbido, oscuro viene contemplato con la stessa gioia. [...]

 

Orbene, in quale senso Apollo poteva essere considerato come il dio dell'arte? Solo in quanto è il dio delle rappresentazioni di sogno. Egli è in tutto e per tutto il «risplendente» nella sua radice più profonda, è il dio del sole e della luce, che si manifesta nel fulgore. La «bellezza» è il suo elemento: a lui si accompagna la gioventù eterna. [...]Quella delimitazione piena di misura, quella libertà dai moti più selvaggi, quella saggezza e quiete del dio plastico. [...]

L'arte dionisiaca per contro si fonda sul giuoco con l'ebbrezza, con il rapimento. Sono soprattutto due forze, che portano l'ingenuo uomo naturale all'oblio di sé nell'ebbrezza, ossia l'impulso primaverile e la bevanda narcotica. I loro effetti sono simboleggiati nella figura di Dioniso.

[...]Le feste di Dioniso non solo stringono il legame tra uomo e uomo, ma riconciliano anche uomo e natura. Spontaneamente la terra offre i suoi doni e gli animali più feroci si avvicinano pacificamente: il carro di Dioniso, incoronato di fiori, è tirato da pantere e da tigri. Tutte le divisioni di casta, stabilite tra gli uomini dalla necessità e dall'arbitrio, scompaiono: lo schiavo è uomo libero, il nobile e l'uomo di basse origini si riuniscono nei medesimi cori bacchici. Il vangelo dell' «armonia universale» si aggira da un luogo a un altro in schiere sempre più numerose: cantando e danzando, l'uomo si manifesta come membro di una comunità superiore e più ideale [...] [...]

Quando la classe sacerdotale di Delfi ebbe indovinato il profondo influsso del nuovo culto sui processi rigenerativi della società [...], quando l'artista apollineo ebbe imparato con avveduta moderazione dall'arte rivoluzionaria dei culti bacchici, quando infine il dominio annuale nell'ordinamento delfico del culto fu spartito tra Apollo e Dioniso, allora entrambi gli dèi uscirono, si può dire, come vincitori dalla loro gara: una conciliazione sul campo di battaglia. [...]

Quanto più possentemente poi crebbe lo spirito artistico apollineo, tanto più liberamente si sviluppò il dio fratello Dioniso: nello stesso tempo in cui lo spirito apollineo giunse a una visione piena, per così dire immobile della bellezza, nell'epoca di Fidia, Dioniso interpretò nella tragedia gli enigmi e i terrori del mondo, ed espresse nella musica tragica il più intimo pensiero della natura.

[...] Fu il popolo apollineo a incatenare con la bellezza quell'istinto strapotente: esso ha sottoposto al giogo gli elementi più pericolosi della natura, le sue bestie più feroci. [...]

 

Il Greco conosceva i terrori e le atrocità dell'esistenza, ma li velò per potere vivere: una croce nascosta tra le rose, secondo il simbolo di Goethe. Quel fulgente mondo olimpico ha affermato il suo dominio soltanto perché l'oscuro governo del destino, che determina per Achille la morte precoce e per Edipo le nozze orrende, doveva venir nascosto attraverso le risplendenti figure di Zeus, di Apollo, di Hermes e degli altri dei. [...]

Anche gli dèi sono sottomessi all'anánke, al destino: questo è un riconoscimento della più rara sapienza. Vedere la propria esistenza - quale essa si presenta - in uno specchio trasfigurante, e difendersi con questo specchio dalla Medusa che trasforma in pietra chi la guarda direttamente, ecco la strategia geniale della «volontà» ellenica, in generale per poter vivere.

 

Come avrebbe infatti potuto sopportare altrimenti l'esistenza quel popolo infinitamente sensibile, così splendidamente recettivo al dolore, se tale esistenza non gli si fosse rivelata, avvolta da una gloria superiore, nei suoi dèi? Lo stesso impulso che trae alla vita l'arte, in quanto integrazione e compimento che inducono a continuare la vita, fece sorgere altresì il mondo olimpico, un mondo della bellezza, della quiete, del godimento. Sotto l'influsso di una tale religione, la vita viene intesa nel mondo omerico come qualcosa in sé desiderabile: la vita cioè nel chiaro splendore solare di tali dèi.

[...] Il culto figurativo della civiltà apollinea, sia che questa si manifestasse in un tempio, in una statua oppure nell'epos omerico, trovò uno scopo sublime nell'esigenza etica della misura, che corre parallela all'esigenza estetica della bellezza. La misura stabilita come esigenza è possibile solo nel caso in cui la misura, il limite siano considerati conoscibili. Per mantenere i propri limiti, li si deve conoscere: di qui l'esortazione apollinea γνῶθι σαυτόν

 

 Ma il solo specchio in cui il Greco apollineo poteva vedere, cioè riconoscere se stesso, era il mondo degli dèi olimpici: qui peraltro egli riconosceva la sua essenza più peculiare, avvolta dalla bella illusione del sogno. La misura, sotto il cui giogo si moveva il nuovo mondo di dèi (di fronte al mondo abbattuto dei Titani), era quella della bellezza: il limite che il Greco doveva mantenere era quello della bella illusione. Il fine più intimo di una cultura rivolta all'illusione e alla misura può certo essere soltanto quello di velare la verità. L'instancabile indagatore al servizio della verità così come il tracotante Titano, viene richiamato con l'ammonizione del ‘niente di troppo’ Con Prometeo viene mostrato alla grecità un esempio di come un eccessivo avanzamento della conoscenza umana agisca in modo ugualmente rovinoso per chi promuove tale avanzamento e per chi ne usufruisce.

 

In compagnia di Dioniso si fecero ormai udire cose che nel mondo apollineo stavano artificiosamente nascoste [...] Un'arte che nella sua ebbrezza estatica diceva la verità, scacciò le Muse delle arti dell'illusione; nell'oblio di sé degli stati dionisiaci perì l'individuo con i suoi limiti e le sue misure Attraverso questo abisso dell'oblio si dividono così l'uno dall'altro il mondo della realtà quotidiana e quello della realtà dionisiaca. Ma non appena quella realtà quotidiana rientra di nuovo nella coscienza, viene sentita come tale con disgusto. Nella consapevolezza del risveglio dall'ebbrezza, egli vede ovunque l'atrocità o l'assurdità dell'esistenza umana. Ciò gli dà la nausea. [...]Qui tale volontà agì subito con la sua naturale forza risanatrice, per far ripiegare nuovamente quello stato d'animo negatore: i suoi strumenti furono l'opera d'arte tragica e l'idea tragica. [...]

 

Mentre Eschilo trova il sublime nella superiorità della giustizia olimpica, Sofocle lo scopre invece - in modo sorprendente - nell'imperscrutabilità della giustizia olimpica. [...]La sofferenza trova in lui la sua trasfigurazione e viene concepita come qualcosa di santificante. Non esiste la colpa, ma soltanto una mancanza di conoscenza sul valore dell'uomo e sui suoi limiti, come è toccato a Edipo, o ad Antigone.

Che l'uomo manchi della conoscenza di sé è il problema di Sofocle; che l'uomo manchi della conoscenza sugli dèi, è il problema di Eschilo.

 

Il greco poteva assolutamente avere l'intenzione di mitigare, o addirittura di reprimere lo stato dionisiaco: una sottomissione diretta era impossibile, e quand'anche fosse stata possibile, era troppo pericolosa poiché quell'elemento, trattenuto nella sua effusione, si sarebbe aperto altrove una strada e sarebbe penetrato in tutte le arterie vitali. Si trattava anzitutto di trasformare quei pensieri di disgusto per l'atrocità e l'assurdità dell'esistenza in rappresentazioni con cui si potesse vivere: queste sono il sublime, in quanto soggiogamento artistico dell'atroce, e il ridicolo in quanto scaricarsi artistico dal disgusto per l'assurdo. Questi due elementi intrecciati assieme vengono riuniti in un'opera d'arte che imita l'ebbrezza, che giuoca con l'ebbrezza. Il sublime e il ridicolo costituiscono un passo al di là del mondo della bella illusione, poiché in entrambi i concetti viene sentita una contraddizione. In questi concetti noi troviamo dunque un mondo intermedio tra bellezza e verità dove è possibile riunire Dioniso e Apollo. Nell'attore noi riconosciamo l'uomo dionisiaco, il poeta, il cantore, il danzatore istintivo, in quanto però uomo dionisiaco rappresentato. L'attore cerca di raggiungere questo modello nella commozione della sublimità o anche in uno scoppio di risa: egli va oltre la bellezza e tuttavia non cerca la verità. Rimane sospeso a eguale distanza dalle due. [...]

 

Giocando con l'ebbrezza, l'attore stesso, come anche il coro circostante degli spettatori, doveva per così dire scaricarsi dell'ebbrezza. Dal punto di vista del mondo apollineo, la grecità era qualcosa che si doveva risanare ed espiare: Apollo, il vero dio della salute e dell'espiazione, il padre di Asclepio guaritore onorato a Epidauro, salvò il Greco dall'estasi chiaroveggente e dal disgusto per l'esistenza, mediante l'opera d'arte del pensiero tragico e comico. Il nuovo mondo dell'arte, quello del sublime e del ridicolo. La conoscenza degli orrori e dell'assurdità dell'esistenza, di un ordine turbato e di una sistematicità irrazionale, e in generale la conoscenza del più mostruoso dolore [...]. Con l'opera d'arte tragica e comica essi furono salvati, venendo immersi a loro volta nel mare del sublime e del ridicolo: si separarono ormai in due gruppi, da un lato come divinità sublimi e d'altro lato come divinità ridicole.